Ed eccoci nell’ultima settimana di mostra l’attesissima presentazione della curatrice Cristina Del Mare che ci illustra i numerosi significati che si racchiudono in un buon pezzo di pane ancora caldo….in fondo anche le fotografie dell’evento. Buona lettura
” Pane Nostro quotidiano”, “Panem et circenses”, “Pane al pane, vino al vino”, “Essere un pezzo di pane”, “Pane di sudore ha gran sapore“, “Buona compagnia è mezzo pane”, “Ogni domani porta il suo pane”… Basterebbero queste locuzioni per farci capire che il pane non è solo un alimento fatto di farina ed acqua ma, per la sua centralità nel sistema alimentare di sopravvivenza è uno dei cibi più ricchi di carica simbolica, di significati rituali, un cibo nel quale si stratificano sapienze antiche, valenze culturali, usanze locali.
Rappresenta per l’uomo, più che ogni altro cibo, non solo il riscatto dalla fame, ma anche la sua capacità di dominare la natura. L’addomesticazione del grano, rivoluzione neolitica di 9000 anni orsono, la sua trasformazione attraverso la cottura e la lievitazione, adottata in Egitto diciotto secoli fa, vanno di pari passo con la civilizzazione dell’umanità. Il pane non esiste in natura, solo gli uomini sanno farlo, elaborando una sofisticata tecnologia che prevede una serie di operazioni complesse (dalla coltivazione del grano, alla lievitazione, alla cottura, etc). Come afferma Claude Levi Strauss, è l’indicatore che segna il confine tra il CRUDO e il COTTO, i poli opposti della contrapposizione tra NATURA e CULTURA.
La storia del pane scandisce quindi l’intera narrazione dell’umanità, un vero e proprio indicatore di civilizzazione, come solo pochi altri cibi possono vantare. Nei poemi omerici, l’espressione “mangiatori di pane” è sinonimo di “uomini”. Dietro ogni pane c’è una storia, storie di vita e di sopravvivenza, di abilità e passione. Frutto del lavoro e dell’ingegno dell’uomo, il pane contraddistingue specificamente la cultura alimentare mediterranea. Potremmo dire, citando Fernand Braudel, che la nostra è una “CIVILTA’ DEL PANE”. Nel pane sono le radici della nostra stessa identità storica.
Non può sorprendere pertanto che il pane sia stato oggetto di culto e simbolo in cerimonie rituali proprio nell’ambito culturale mediterraneo. Nella Grecia classica era rappresentazione di una divinità femminile, Demetra, la madre terra, la dea del pane, adottata poi dal culto romano come Cerere, “colei che ha in sé il principio della crescita”. Allegoria di fecondità per le culture antiche, traghetta il significato di tramite tra uomo e divino, diventando nella liturgia cristiana simbolo stesso della presenza di Dio tra noi. Il “pane eucaristico” che dà vita e salvezza, è incarnazione del divino che nutre l’anima dell’uomo e la rende eterna. Strumento della comunione eucaristica con la divinità il pane diventa nutrimento per eccellenza, del corpo e dello spirito.
Emblema di comunione con il divino quindi, ma anche di abbondanza e condivisione tra gli uomini. Condividere il pane nella comunità degli uomini diventa segno di fratellanza e di appartenenza ad una comunità. Questo utilizzo simbolico nell’ambito sociale si è diversificato nel tempo.
Il “pane bianco” dei convivi ricchi e aristocratici e il “pane nero” delle tavole contadine e popolari, indicava fino al secolo scorso la posizione sociale, l’ostentazione della ricchezza e del potere attraverso l’offerta alimentare.
Pane-cibo e pane-simbolo, quindi. Funzione di alimento e di “segno”. Pane come alimento primario per il corpo e pane come valore simbolico, nutrimento di civiltà, di speranza e di fede, oggetto di carità nel gesto di distribuzione, nutrimento dello spirito.
Protagonista quotidiano dei nostri pasti, il pane oggi è un cibo pressoché scontato e a volte sottovalutato per la sua ovvietà. Il pane è diventato cibo abituale, tuttavia solo nei paesi mediterranei abituati fin dall’antichità a considerarlo alimento fondamentale di sussistenza. Eloquente è il termine “COMPANATICO” che assegna agli altri alimenti la funzione di “accompagnare” il pane, e implicitamente riconosce a quest’ultimo il ruolo prioritario. Da noi è sempre incluso nel “coperto”, mentre nei Paesi del nord Europa o nei Paesi anglosassoni bisogna ordinarlo apposta.
Il pane ha assunto anche la connotazione di diritti negati (come la “mancanza di pane” connessa alla povertà e alla guerra) di cattive abitudini e sprechi imperdonabili. Il valore metaforico straordinario del pane, quasi sacrale, fa del suo spreco un atto sacrilego che riflette noncuranza e inconsapevolezza, oltre che delle sue inconfutabili qualità nutrizionali, anche della sua potente forza significante.
Riportare l’attenzione alle molteplici valenze del pane è l’intento della mostra “NOMINE PANIS. Il valore del Pane tra Arte e Senso”, presentata alla Galleria Mirror di Vicenza, dal 12 settembre al 4 ottobre 2015. Progetto realizzato in continuità con i temi di Expo 2015, ha proposto le creazioni realizzate da Elvezia Allari, dicate al pane come cibo per il corpo e come nutrimento delle necessità spirituali, morali ed etiche.
Realizzati con pane raffermo riciclato, semi di grano, carta da panettiere, gli abiti scultura, gli accessori, i bijoux e gli objets du quotidien intendono recuperare l’importanza del pane attraverso una “ri-produzione artistica”, che in modo giocoso e inedito dia nuova vita e forma a un prodotto che possiedono radici antiche, come il pane appunto, e che oggi necessita una nuova rappresentazione per riconoscerne il significato. Pane come arte per riapprezzarne senso e valore.
Un’ironica provocazione sulla capacità dell’intervento artistico come atto volontario di far riemergere il senso delle cose, anche le più ovvie e quotidiane come il pane, e di stimolare la riflessione sull’utilizzo consapevole di questo alimento prezioso, soffermando l’attenzione sulle dinamiche di “buone pratiche” che legano PRODUZIONE – RICICLO – ARTE.
La performance realizzata da Alessandra Schiarante, novella Demetra, “Madre dispensatrice”, costante nutrice degli uomini e della terra che donò all’uomo la conoscenza delle tecniche agricole e di panificazione, ha offerto a tutti i partecipanti l’inaugurazione un “dono di pane come seme di consapevolezza”, per poter condividere i diversi fragranti impasti polisemici, e rivalutarne le valenze nutritive, terapeutiche ed apotropaiche. Come dice un’antica espressione: “spezzare il pane della scienza”, far circolare il nutrimento spirituale o intellettuale; ossia mettere a disposizione di chiunque le proprie conoscenze, entrare in empatia con gli uomini, la terra, la storia, con l’universo tutto. Il pane come metafora della vita.
Cristina Del Mare
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